VAN MORRISON - Three Chords and the Truth (Exile/Caroline 2019) ****


Dopo quattro album dignitosi ma abbastanza prescindibili di cover blues, vocal jazz e standard della tradizione americana Van Morrison riprende da dove aveva lasciato tre anni fa, ovvero dallo splendido resoconto nostalgico di Keep Me Singing, disco biografico che riporta l'autore, dopo il meno riuscito Born To Sing, nel suo terreno più classico e personale. Non era facile mantenere i livelli qualitativi di Keep Me Singing ma Van, confermandosi tra i maggiori artisti della nostra epoca, ha stupito tutti ed ha fatto, probabilmente, ancora meglio. 

I primi tre singoli che hanno anticipato l'album hanno davvero entusiasmato ogni fan morrisoniano ma non solo. Infatti si può affermare da subito che Dark Night of the Soul (probabilmente ispirata dalla "notte oscura dell'anima" scritta dal mistico spagnolo Giovanni della Croce, pubblicata nel 1618) è già un classico, musicalmente uno dei pezzi più completi e rappresentativi di Van degli ultimi decenni, una specie di traguardo formale del suo celtic soul: gli atmosferici, ossessivi fraseggi su base blues sembrano provenire da Veedon Fleece (Streets of Arklow), il ritornello ha la semplicità dei suoi hit più famosi mentre il finale liberatorio, invasato e improvvisato, ci dona un ritmo in crescendo assolutamente memorabile con vibranti coloriture vocali di indubbia bellezza espressiva, appartenenti ad uno stile ibrido che sembra evocare le settimane astrali tanto quanto un moderno mantra di matrice occidentale. Il brano trasuda vera passione, "la notte oscura dell'anima" è una condizione sofferta e meditativa, un passaggio necessario per la rinascita spirituale, che riassume il bisogno di purificazione, di trasformazione interiore e guarigione, una costante nella carriera di Van; "notte oscura" come unico preludio all'alba, e il nostro, con standing here on the landing, looking for a brand new day, lo esprime nel migliore dei modi possibile.

If We Wait For Mountains uscita come secondo singolo, scritta insieme a Don Black, è un piccolo gioiello cantautorale che ci rammenta di non cercare la bellezza chissà dove perché in realtà è sempre intorno a noi, ogni giorno, in ogni luogo. Pezzo dotato di sensibilità poetica, raffinatezza, eleganza sopraffina, impreziosito dalla voce misurata e gentile di Van. 

Il terzo singolo Days Gone By, altro vertice del nuovo album e probabilmente il più sorprendente, con delicati passaggi nostalgici "...poi porterò mio figlio, lo porterò sulle spalle, dall'altra parte del fiume, attraverso il fiume, per il bene, per il bene dei giorni passati, per i giorni passati, mia cara, per i giorni, per i giorni passati, voglio condividere una tazza, condividere una tazza di gentilezza con te, per il bene, per il bene di Auld Lang Syne..."è un brano folk rock torrenziale che cresce molto con gli ascolti. 
Ritmo e melodia, ispirati al dentro citato traditional scozzese, fanno parte di un vortice emotivo continuo, il canto appassionato di Van alimenta l'approccio live che riporta ai suoi settanta; più di sette minuti che potevano anche essere quindici, un brano così speciale e vitale vorresti che non finisse mai. Il sound, intrigante fin dalle prime note, è impreziosito dal supremo lavoro di David Hayes, John Allair (con Van nei settanta e negli ottanta) e Jay Berliner (il chitarrista partecipe del miracolo Astral Weeks suona in ben sette pezzi) che riescono davvero a fare la differenza. Dopo tre singoli di questo genere che album potevi aspettarti se non un qualcosa di veramente importante? Ed è stato realmente così. L'ascolto integrale dell'album ha lasciato solo la certezza di aver ritrovato un artista, settantaquattrenne, ancora capace di comporre e interpretare grandissima musica. 

Se la parte centrale dell'album contiene alcune tracce che, vista la discreta qualità, non possono essere catalogate come reali riempitivi (You Don't UnderstandDoes Love Conquer All? le più virtuose), il resto dell'album colpisce per le emozioni che riesce a regalare, senza fiati, senza cori, con l'organo, le chitarre e soprattutto la voce di Van sempre in primo piano.
Ma veniamo ai brani restanti, si parte subito col botto: l'iniziale bellissima e suggestiva March Winds in February sembra riportarci a certe sonorità dei settanta con il ritornello di matrice tradizionale irlandese che evoca The Mystery (proveniente da Poetic Champions Compose), pezzo tipicamente morrisoniano con un grandioso Jay Berliner che impreziosisce il finale di chiara matrice "astrale".. 
Il successivo duetto (con Bill Medley) Fame Will Eat The Soul prende in esame gli aspetti negativi del successo e lo fa con gusto melodico ed energica, contagiosa brillantezza. In Search of Grace riprende con semplicità quelle attitudini musicali che hanno fatto grandi pezzi come Days Like Thisin bella evidenza l'organo saltellante di John Allair e la solita maestria vocale di Van.

E poi l'ennesimo capolavoro dell'album: Up on Broadway. Come in In Tiburon o Out in The Cold Again (entrambe da Keep Me Singing), questo brano racconta un'esperienza, un'atmosfera vissuta in un determinato momento di un determinato luogo, quelle sensazioni, quei feeling che solitamente non riusciamo a descrivere a parole: take a walk with me in evening time, just to see what we can see, up on Broadway baby, sounds just like a symphony, got to get with the show. Se i giri di chitarra iniziali e finali mi riportano in mente la preistorica e bellissima Friday Child (periodo Them), l'ascolto del brano a occhi chiusi può davvero farti vivere quella notte descritta da Van con intensità cinematografica, the city light are stretching e ti sembra di vederle; give me five, give me fiveit's so good to be alive, up on Broadway baby. Un viaggio sonoro sublime.

Per finire come non citare la commossa elegia country-folk di Bags Under My Eyes, una vera e propria ode autobiografica che racconta (ma con quanta grazia canta il nostro?) le difficoltà della strada fino ad oggi percorsa, una strada, un percorso artistico che ancora oggi continua, per nostra fortuna, ad incantare. 
Grazie Van, ancora una volta.



Fausto Pietro Gori






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